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Acque Morte — William Somerset Maugham

Un medico radiato, oppiomane, da qualche parte in oriente.
Uno skipper ed un ragazzo belloccio, dal passato oscuro, in giro per mare, là dove erano stabiliti gli olandesi, un omone danese, dal gran cuore e troppo sensibile per una vita di disillusione, le donne.

Un romanzo che si rivela pian piano, ognuno in fuga da qualcosa, alla ricerca di una nuova identità o di una nuova vita, prima di essere recuperati da quella di prima. Ma si può davvero sfuggire a ciò che si è ? Non si ricade nello stesso errore, che si presenta con solo una maschera diversa?

Un uomo che traduce un poema portoghese, sua figlia, bella e sfuggente, vestita di candore eppure spregiudicata, come lo è la voglia di vita, di graffiare sulla tela per lasciare colore e allontanare il dolore.

Ma alla fine siamo tutti ripresi dal nostro destino, spesso amaro e ineluttabilmente fosco, come una condanna da cui non si riesce ad evadere se non con un totale cambiamento del proprio animo, o con l’oppio.

Acque morte di William Somerset Maugham non è scrittura, è la delicatezza di una gouache che rappresenta un arcipelago orientale di dubbio, debolezza e oppio.

Uno stile elegante e raffinato che mi è inaccessibile, a cui posso solo guardare con stizzita e gelosa ammirazione.