Filosofeggiando, Philosophy

Le buone intenzioni

Squilibri, non c’è altra definizione per inquadrare lo scollamento fra ciò che si dice e ciò che non si fa. Puntualmente. Come un treno che non è mai stato calendarizzato ma che viaggia, solo in un universo fantastico, di chi lo concepisce, come le traiettorie, immaginifiche, lungo le quali corrono i binari, di poderoso acciaio, delle buone intenzioni.

L’intenzione è l’acciarino da cui nasce una scintilla, ma non sufficiente a scatenare un fuoco, senza un’adeguata preparazione, del terreno, del materiale combustibile; ciò che determina la vampata definitiva è, come in tutto, l’azione.

Consultando il dizionario Treccani, alla voce intenzione trovo questa definizione: “Orientamento della coscienza verso il compimento di un’azione, direzione della volontà verso un determinato fine; può indicare semplicemente il proposito e il desiderio di raggiungere il fine, senza una volontà chiaramente determinata e senza la corrispondente deliberazione di operare per conseguirlo“.

Orientamento della coscienza.

Ma anche, talvolta,

Senza una volontà chiaramente determinata.

La buona intenzione è orientamento verso il bene, non è il bene, non si identifica con esso, eppure chi concepisce la buona intenzione si sente buono, quasi come se avesse compiuto l’opera. Come se la pratica masturbatoria del bene potesse concepire il bene stesso, senza l’utero della Dinamica che porta al doloroso, dolorosissimo, parto dell’Azione.

Ma l’azione innesca, spesso, la reazione. Ed è fra gli orrori disegnati dalla mente ciò che, forse più di tutto, perturba il mare calmo dell’esistenza. Senza azione non muoviamo nessun tipo di onda, nessuna vibrazione, nessuna trasmissione di energia. Ancor meno negativa. E’ il nulla rassicurante in cui riposano i morti che respirano, quelli che perché si aggrappano alla tua camicia, con lo sguardo vuoto ma pieno di speranza che questa volta sarà diverso.

“Si questa volta le mie buone intenzioni le porterò sul piano ruvido e graffiato della realtà, dove la terra si mischia alle gocce di liquidi corporali, dove le unghie si consumano, come le diottrie, per studiare soluzioni al meccanismo complesso della realtà, fisica e immateriale. Stavolta mi tufferò, col coraggio che non ho mai avuto ma che da qualche parte troverò, nella speranza di cambiare”.

Ma neanche la speranza è determinazione e le buone intenzioni si infrangeranno, ancora, sugli scogli appuntiti e neri, levigati dal vento dell’esperienza storica, incrostati di organismi viventi che guarderanno, con sufficienza condiscendente, l’immutabile ripetersi dell’inazione. Sorda ad ogni richiamo, impegnata a guardare nello specchio, appannato da vapore e sporco di rossetto vivo come sangue, i propri occhi arrossati e le occhiaie che provano, anche loro stanche, a lasciarsi cadere per allontanarsi quanto più possibile da quel cranio bianco, levigato, immobile.

E, così, precipita la polvere, come neve, sugli immobili eretti dalle Buone Intenzioni, grattacieli tristi e grigi conficcati come chiodi nell’anima, per formare strade e vicoli bui della città morta della Passività.