Libri, Recensioni

Dans les forêts de Sibérie

Come ultimo libro dell’anno e come primo di quello nuovo ho scelto questa sorta di diario di un eremitaggio volontario in Siberia.

Incontrai Sylvain Tesson ad una trasmissione televisiva dove si parlava solo di libri, lui era invitato, io ero fra il pubblico e rimasi intrigato da questo personaggio, non simpatico di primo acchito, che più che uno scrittore era un avventuriero, qualcuno che dichiarava il proprio amore alla vita sfidandola, mettendosi alla prova, per riempirsi di senso da imprimere poi su carta.

Non avevo però mai letto niente di lui, ho sempre privilegiato altri generi e provato a colmare lacune su libri più classici, poi mi fu regalato Dans les forêts de Sibérie (che in italiano mi sembra sia stato tradotto col titolo “Nelle foreste siberiane“) da qualcuno che, devo ammettere, mi conosce più di quanto pensassi.

Tesson scrive una sorta di diario di una sua permanenza di sei mesi in una capanna, nel bel mezzo della Siberia. Si è rinchiuso con una nutrita scorta di libri e altri beni di prima necessità, per ascoltarsi.

Ha voluto provare l’isolamento dalla metropoli, mettere kilometri e un muro di neve fra lui e Parigi, per vivere e sopravvivere, tagliando la propria legna, pescando nel lago ghiacciato di che nutrirsi, frequentando sporadicamente pescatori, responsabili di stazioni metereologiche o amici che aveva incontrato in un viaggio precedente negli stessi luoghi.

Gli spazi immensi, i due cani che ha scelto come unica compagnia durante i sei mesi, gli alberi, il silenzio o lo scatenarsi degli elementi naturali, le escursioni sul fiume o sulla montagna, i bivacchi rischiosi, il riposo, il conforto della vodka, forse troppa, durante le discussioni con i rari avventori che capitavano di là, tutto ciò ha messo di fronte l’uomo con sé stesso, con le sue fragilità e forze, con la sua pervicacia e arrendevolezza. E’ stata un’esperienza per ricordarsi che l’uomo e la natura formano un insieme armonioso, dove la coesistenza è possibile, dove la vita è possibile, anche lontano da una folla di automi e da un Stato che li gestisce, amministra, controlla, ordina, con la sua legge e i suoi tribunali.

Non ho sempre apprezzato lo stile di scrittura, ai miei occhi un po’ troppo lezioso e aulico, al punto di darmi l’impressione di cercare la poesia a tutti i costi, quando la poesia già era nel racconto stesso, nell’esperienza in sé; ma ho molto amato leggere questa storia di un eremita, circondato da libri, da silenzi e dalle sue riflessioni, libero di indagare misteri assoluti, impegnato nel lavoro quotidiano di introspezione.

Questo libro è stato una sorta di specchio nel quale mi sono guardato, dove ho ritrovato pensieri anche miei, dove, attraverso la solitudine volontaria altrui, ho contemplato la mia.

Racconti AB-erranti, Riflessioni, Self-Improvement

NaNoWriMo

Il NaNoWriMo è un’iniziativa nata in USA per spronare scrittori, aspiranti tali ed affermati, a dedicare l’intero mese di novembre, ogni giorno, alla stesura di un manoscritto, tentando di raggiungere l’obiettivo di 50.000 parole, sufficienti per racchiudere un’opera.

Quest’anno, spinto dalla voglia di mettermi di nuovo alla prova, ho deciso di riprovare (sono alla terza partecipazione), lavorando tutti i giorni ad una nuova idea che, contrariamente alle precedenti che ho elaborato, ho voluto nascesse il primo Novembre, con l’inizio di questa sfida, affinché fosse tutto nuovo, giocoso, spontaneo.

Non tutti i giorni sono stati semplici, come ogni lavoro di stesura, ci son momenti in cui ti sembra di annaspare in una palude acquitrinosa, dove ti dimeni senza avanzare di un centimetro. Ma è il combattimento di un giorno qualunque della vita di ogni essere, l’Arte, il processo creativo, ne è solo l’espressione più pura, ma segue la stessa parabola. Ho provato, dunque, a ignorare le insoddisfazioni, per concentrarmi sull’obiettivo finale che, devo dire, si è rivelato raggiungibile, anche con un prodotto finito non troppo confusionario e, tutto sommato, soddisfacente.

Questo nell’immagine in alto, è l’attestato che ottiene ogni scrittore che riesce a scrivere le 50.000 parole entro il 30 novembre, è giusto un souvenir di questo breve viaggio. Ora mi resta in mano un manoscritto, l’ennesimo, da correggere e da perfezionare in un insieme coerente e fluido.

Il punto è che io detesto correggere.

Mi risulta più facile scrivere cento pagine che rileggerne dieci con la matita rossa e blu in mano.

Purtroppo per me, la scrittura, come la musica, somiglia più alla scultura che alla pittura, dove l’impeto creativo può esprimersi più liberamente, magari dando vita a nuove correnti pittoriche, in totale rottura con gli schemi tecnici dell’epoca. Le strutture e confini disegnati dalla sintassi e dalla logica, sono meno elastici, in compenso l’universo concettuale che si vuole esprimere può essere più facilmente definito che in altre forme d’arte. Insomma, come in tutte le imprese, c’è un tipo di lavoro che ci riesce più facilmente e un altro che ci piace meno svolgere.

Il mio è la rilettura e la correzione, non son tanto uomo da microscopio ma da grandangolo .