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Storie di Campioni e Vice Campioni

Si diventa Campioni vincendo una competizione, è una medaglia sul petto, un modo per scrivere il proprio nome su un marmo che passerà alla storia, essere in buona compagnia, di pochi.

Ma si è ancora più Campioni quando c’è un secondo che è un campione anche lui, senza titolo e senza medaglia, non ancora, ma che ti rende l’onore delle armi, che con il suo essere indomito e pugnace, esalta ancora di più le doti del primo, del vincitore. Achille lo si ricorda, soprattutto, per aver sconfitto Ettore, senza quest’ultimo sarebbe stato un campione, figlio di mammà, con la corazza d’oro e bello come il sole. E’ Ettore che lo ha reso l’eroe definitivo, quello che lo ha spinto a scoprire i suoi limiti, per andare oltre.

La storia di Bagnaia è così, inutile sminuire le sue doti di pilota, adducendo che aveva la moto più potente e performante. E’ una banale accusa, infamante, che ha colpito ogni Campione. E’ stato cosi per Doohan, Spencer, Rossi e Marquez, lo è anche per Bagnaia, perché vincere significa anche avere uno stuolo di perdenti schiumanti, che devono trovare una ragione al successo altrui e un perché al loro “perché non io”. Pecco è stato freddo, chirurgico, soprattutto dopo il brutto incidente di Barcellona, ha dominato prima il dolore, poi la sua voglia di strafare, poi le sue paure. E’ il percorso dell’Eroe in ogni avventura Epica e solo uno riesce a far tutto insieme e ad arrivare alla fine vittorioso.

Ma è anche grazie a Martin che questo Mondiale è ancora più bello. Un Campionato dominato in lungo e in largo, senza che all’orizzonte apparisse la silouhette di un pistolero capace di sfidare la velocità dello sceriffo. Poi è arrivato Jorge, spagnolo dalla pelle scura, occhi chiari e polso rapido. Ed è stato tutto un altro mondiale, palpitante, incerto, combattuto. Ed è per questo che, spesso, bisogna rendere omaggio a chi è in grado di battagliare fino alla fine, sportivamente, con coraggio e cipiglio, perché è a lui che si deve l’emozione di una sfida che diventa non più una fuga solitaria, ma un’esperienza unica.

Questo non è stato il campionato più bello, per me, l’idea della Sprint Race è una sciocchezza che mette a repentaglio la sicurezza dei piloti e non aumenta in nulla il brivido della corsa, al contrario la diluisce, la annacqua, al prezzo dell’incolumità di molti, troppi, che, come Bastianini, son stati tagliati fuori ad inizio stagione. Spero la tolgano e si torni alla formula vecchia, più rassicurante ed in cui ci si giocava tutto la domenica, non c’è bisogno di incidenti, ma di piloti sani e valorosi. Proprio come tutta la griglia che ha regalato un altro anno di emozioni e pieghe, di sorpassi e accelerazioni, di frenate al limite e di gomme bruciate, tutto ciò che ha reso un bellissimo Campione Bagnaia e uno splendido Vice-Campione Martin.

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Storie di squali e di campioni

Ciò che mi ha sempre emozionato delle corse di moto, fra le tante cose, è stato assistere alla nascita dei campioni che avrebbero reso questo sport ancora più entusiasmante e divertente.

I motociclisti son quasi tutti uguali, da sempre, tipi strani, un po’ fuori dal comune, amanti della libertà e della sfida, pazzi che diventano lucidi quando bisogna trovare un buon setting, approcciare una curva, quando bisogna rallentare, rilasciare il polso, sentire il rombo del motore che diventa la musica amica, riconoscibile fra mille, come una voce.

Nel motomondiale c’è la fortuna di avere tre categorie diverse, ognuna delle quali con le proprie specificità ed in ognuna delle quali c’è bisogno di una competenza diversa, l’unica cosa che ci si porta dietro è un’impostazione mentale che, associata ad un pizzico di buona sorte, decide chi sarà campione e chi no.

Acosta è uno di quelli che ti fanno sobbalzare sul divano, proprio come succedeva con Biaggi o Rossi. Vinse la sua prima corsa in Moto3 partendo dai box, ha dominato la categoria più piccola come un veterano, non è il più giovane vincitore di un mondiale solo per pochi giorni, ha poi vissuto un anno tribolato al suo primo in Moto2, in cui forse già ci si aspettava troppo. Sono proprio quelli i momenti in cui la vita ti ridimensiona, ti riporta alla realtà che è fatta di umiltà e lavoro anche per chi è già su traiettorie astrali. E il giovane Pedro, nome spagnolo che più spagnolo non si può, ha fatto proprio questo, si è ridimensionato ed ha ricominciato, con umiltà, a fare quello che aveva fatto due anni prima, a divertirsi ed a lavorare.

E quest’anno in 18 gare ha fatto 7 vittorie, 14 podi e una sola volta a 0 punti. Cifre incredibili, ancor più se si pensa che Arbolino (altro potenziale fuoriclasse) non lo ha mollato per tutta la stagione.

Ho visto “nascere” Capirossi, Biaggi, Rossi, Pedrosa e i Marquez, ora vedo Acosta che a 19 anni è già campione del mondo due volte. Ed ha voglia di ricominciare, ponendo l’asticella ancora più in alto, pronto per una sfida ancora più impegnativa, proprio come tanti campioni prima di lui, proprio come me.