Filosofeggiando, Philosophy

Blogging or not Blogging

Le aperture sono un concetto architettonico, fisico, intellettuale. Sono interruzioni in un continuum, a volte sospensioni, o forzature. Brecce nelle quali filtra una luce, ma vai a capire se è perché è lei che vuole filtrare o sei tu che hai voglia che filtri.

Io passo da fasi respiratorie asmatiche, dove la contrazione bronchiale si lascia andare, talvolta, per larghe boccate di aria, come quella che si lascia entrare, nel nostro essere, come durante le meditazioni.

Ma la libera circolazione dell’aria, come tutto, del resto, è solo un movimento che si completa nel nostro essere, come se fosse impermeabile all’esterno, perché noi vogliamo che sia così e, o, impariamo a far essere così.

Io ho imparato a costruire le mie aperture sulle viste che mi appagano; col tempo ho appreso, non senza dolore devo dire, che non esiste un’apertura assoluta, neanche un’apertura buona, se poi fa entrare spifferi e ti fa ammalare. La chiusura, come l’apertura, è una fase che ha tutta la sua legittimità e rispettabilità. A meno che non sia dettata solo dalla voce gracchiante della paura, consigliera mai saggia e ancora meno affidabile.

Amo le mie chiusure, proprio come le mie aperture, sono quasi sempre giochi di ombre in cui mi nascondo o mi rivelo a me stesso. Non che l’alterità non sia interessante o degna, è solo che l’alterità non è che una soggettività guardata da un’altra visuale. Giochi di specchi che si continuano a rifrangere gli uni sugli altri.

E quindi qual è il senso di riprendere a costruire un blog se il destinatario di ogni riflessione è me stesso? Perché pubblicare fuori ciò che tutto sommato è destinato a restare dentro?

Ognuno trova una risposta a questa esigenza, la mia è quella dell’ordine, quella di trovare un’organicità in un tumultuoso succedersi di ragionamenti. Come se tenere traccia, in un archivio coerente, il susseguirsi delle cose, disegnasse una traiettoria che rende più intellegibile un percorso che, quasi sempre, come in molte cose della vita, si rivela all’approssimarsi della sua fine.

Unendo i puntini di una traiettoria, forse, posso imparare a leggere meglio ciò che mi sfugge di me. Perché alla fine, nessuno mette sulla piastrina che passa sotto la lente del proprio microscopio, altro che sé stesso. Ed è giusto così. Dopotutto credo che studiando sè stessi si studi tutto. Basta solo avere il coraggio di confessarselo.